Tuesday, November 02, 2004

Esperimento fallito

Non tutte le ciambelle riescono col buco. Chiedo scusa alle persone che avevano iniziato a leggere questo blog e che da un certo punto in poi non hanno più trovato aggiornamenti, proprio quando la campagna stava entrando nel vivo.
Ho provato di persona quanto sia difficile dare aggiornamenti continui e scrivere qualcosa di sensato tutti i giorni. Trovare il tempo per farlo, più che altro. Imparare a dedicare almeno un'ora alla giornata al proprio blog non è semplice, specie quando molte altre cose accadono contemporaneamente nella propria vita.
Mentre gli elettori si affollano nei seggi per decidere chi sarà il prossimo presidente degli Stati Uniti, mi sento in dovere di scusarmi con quanti di voi avevano iniziato a leggermi. Mi riprometto di imparare da questa esperienza e di impostare meglio le prossime. State sicuri che ce ne saranno.
Intanto, se volete leggere qualcosa, qui potete vedere un mio commento sulle strategie dei candidati (pubblicato sul sito dell'Associazione Italiana Consulenti Politici).
Di seguito potete leggere il testo completo di un articolo pubblicato su New Politics, supplemento de Il Riformista del 1 Novembre, in cui si parla di blog e nuovi scenari mediatici.

“And that’s the way it is”. Così Walter Cronkite concludeva le sue trasmissioni negli anni Sessanta. Era un’affermazione tutto sommato veritiera: l’80% degli elettori si sintonizzava alle 18.30 sui tre grandi network nazionali per conoscere i fatti più importanti avvenuti nella giornata e l’immagine dei politici derivava quasi interamente dai telegiornali della sera. Oggi la realtà è molto più complessa: televisione via cavo, canali all-news, radio parlata, telefoni cellulari e le mille forme della comunicazione on line competono con i mezzi tradizionali. Wired, la rivista di culto per gli appassionati di tecnologie, ha deciso in agosto che è tempo di scrivere “internet”, non “Internet”, così come nessuno usa la maiuscola per parole come “stampa”, “radio” e “televisione”. Come ha scritto Michael Cornfield, esperto di nuove tecnologie e politica: “Questo atteggiamento ci avvicinerà al giorno in cui tutti i politici si comportano come politici on line, facendo un uso pieno e consapevole di internet nella comunicazione strategica, e al giorno ancora più importante in cui tutti i cittadini potranno essere raggiunti tramite la rete”.
I nuovi media e l’espansione di quelli tradizionali hanno prodotto una vera e propria esplosione informativa, con due conseguenze fondamentali. Da un lato la comunicazione è sempre più personalizzata, rivolta agli interessi specifici di pubblici segmentati attraverso ricerche di mercato. Dall’altro l’informazione politica è così abbondante che rischia di trasformarsi in un “brusio” costante, in cui le categorie tradizionali di informazione, intrattenimento e commento si mischiano in un flusso spesso indifferenziato.
La campagna presidenziale che sta per concludersi ha assestato un colpo al cuore dei media tradizionali quando Dan Rather, decano del giornalismo a stelle e strisce e “volto” del telegiornale della CBS, ha dovuto pubblicamente scusarsi per avere diffuso documenti, rivelatisi poi inattendibili, sul servizio militare di George W. Bush presso la Guardia Nazionale in Texas. A mettere pressione su Rather, oltre alla controffensiva mediatica della campagna elettorale Repubblicana, sono stati numerosi blog (tra cui rathergate.com, coniato per l’occasione), che hanno smascherato il falso nel giro di poche ore dalla sua messa in onda. Anche se non sono paragonabili al giornalismo tradizionale quanto a risorse e standard professionali, i blog stanno trasformando l’informazione in una conversazione tra i media e una nuova generazione di élite che utilizzano internet per influenzare l’opinione pubblica e i media. Tra i blogger è diffusa la pratica di “adottare un giornalista” per tenerlo sotto controllo e denunciarne la presunta faziosità.
Del fatto che i giornalisti statunitensi siano culturalmente e politicamente progressisti, e quindi faziosi, i conservatori si lamentano fin dai tempi del presidente Richard Nixon, che incaricò il vicepresidente Spiro Agnew di criticare costantemente i media per la loro ostilità verso i Repubblicani. Oggi l’apertura di nuovi canali offre alla destra la possibilità di bilanciare quello che storicamente hanno sempre considerato come uno squilibrio. Le frequenze della radio parlata sono ormai da un decennio territorio dei conservatori, da Rush Limbaugh a Sean Hannity a Bill O’Reilly: circa 30 milioni di ascoltatori si sintonizzano ogni settimana sulle loro frequenze. (Per la sinistra, il gap della radio parlata è parzialmente colmato dal comico Al Franken, una sorta di Beppe Grillo a stelle e strisce). Hannity e O’Reilly sono anche le star di Fox News Channel, la rete all-news di Rupert Murdoch il cui successo di pubblico è forse la più grande novità mediatica della stagione politica. Questi nuovi canali consentono agli elettori di ricevere informazioni e commenti da fonti non più neutrali, come vorrebbe la pratica professionale del giornalismo, ma più o meno dichiaratamente di parte. La segmentazione e personalizzazione della comunicazione politica sono probabilmente tra i principali responsabili della polarizzazione dell’elettorato statunitense a cui assistiamo oggi: ciascuno può infatti rivolgersi solo alle forti con cui è d’accordo, mentre i punti di vista contrari si possono filtrare sempre più facilmente. È difficile essere moderati e concilianti quando non si ascolta mai l’altra campana.
Tornando a internet (sempre con la minuscola), la sfortunata ma significativa avventura di Howard Dean nelle primarie Democratiche ha lasciato tracce nelle scelte strategiche dei candidati. Un primo utilizzo della rete è quello di “diffondere il messaggio”. I siti di Bush e Kerry sono molto curati e offrono una mole vastissima di documenti, video e strumenti interattivi. Un video realizzato dai Repubblicani su “Kerry e l’Iraq” è stato visto da più di 9 milioni di utenti, secondo i gestori del sito (www.kerryoniraq.com).
Più significativi sono però gli utilizzi della rete in funzione organizzativa, per raccogliere fondi e per incentivare i simpatizzanti dei candidati a lavorare come volontari per la campagna elettorale. Secondo un articolo apparso di recente sul Washington Post, Bush può contare su una mailing list di 6 milioni di utenti, Kerry su 2,5 milioni di iscritti. A colmare il divario per i Democratici ci sono altre organizzazioni formalmente indipendenti, come MoveOn.org e America Coming Together, che hanno raccolto centinaia di milioni di dollari e organizzato campagne on line e off line a sostegno di Kerry.
L’email è lo strumento più utilizzato per mobilitare volontari e simpatizzanti. In questi giorni gli iscritti alle mailing list di Bush e Kerry ricevono una media di tre messaggi al giorno. Grazie all’email e agli strumenti presenti sui siti dei candidati, i sostenitori possono incontrarsi negli “house party” per programmare iniziative sul territorio, partecipare a viaggi organizzati per fare campagna elettorale porta a porta negli Stati in cui la competizione è più incerta, ricevere istruzioni per contattare altri elettori da casa, utilizzando il telefono o l’email, e far sentire la propria voce sui media.
Se i Repubblicani hanno escogitato il sistema più efficiente per mobilitare i volontari e monitorare il loro contributo, grazie a un sofisticato e segretissimo database, i Democratici hanno avuto successo nell’utilizzare il lavoro dei volontari on line per influenzare i mass media. Immediatamente dopo il primo dibattito presidenziale, tutti gli iscritti alla mailing list di Kerry hanno ricevuto istruzioni di votare nei sondaggi on line dei network, di mandare lettere ai quotidiani locali, di chiamare le radio parlate e di diffondere in qualsiasi altro modo il messaggio che Kerry era stato il vincitore. Nella frenesia che segue i dibattiti, in cui giornalisti e commentatori sono alla disperata ricerca di fonti per misurare il “polso” dell’opinione pubblica, questa risposta così massiccia ha sicuramente contribuito a convincere i media che Kerry aveva vinto il dibattito. La CBS ha definito l’operazione di Kerry “un colpo di stato on line”.
In una campagna elettorale in cui la mobilitazione dei sostenitori e le operazioni di “get out the vote” saranno decisive per determinare il vincitore, il ruolo di internet e delle tecnologie informatiche può rivelarsi decisivo se ben coordinato con le operazioni sul campo. Nelle 72 ore che precedono il voto centinaia di migliaia di volontari busseranno alle porte degli elettori, armati di dati sui loro comportamenti elettorali e sulle loro preferenze. Un tempo i grandi partiti di massa, con i loro apparati e clientele, venivano definiti “macchine politiche”. Dopo aver lasciato il posto alla televisione e agli altri media, oggi queste macchine si ricostituiscono in una forma nuova, basata di nuovo sul contatto diretto con gli elettori ma supportata da una mole impressionante di informazione che viaggia in tempo reale. È questa la “macchina politica leggera” del XXI secolo?


Friday, August 27, 2004

Bsuh a USA Today

Anche USA Today oggi ha un'ìintervista al Presidente in vista della Convention. Le due interviste meriterebbero sicuramente un confronto dettagliato. Un passaggio chiave dell'intervista di McPaper (così veniva chiamato USA Today nei suoi primi anni di vita) mette in evidenza uno dei tratti dell'immagine di Bush su cui il Presidente conta per la sua rielezione.

Bush said he believes voters won't deny him a second term even if they disagree with the war.
"They've seen me make decisions, they've seen me under trying times, they've seen me weep, they've seen me laugh, they've seen me hug," he said. "And they know who I am, and I believe they're comfortable with the fact that they know I'm not going to shift principles or shift positions based upon polls and focus groups."

Il New York Times intervista se stesso

Oggi il New York Times pubblica un'intervista al Presidente Bush. Mi sembra interessante commentarla, partendo dal presupposto che il formato dell'intervista giornalistica negli USA non è identico a quello utilizzato in Italia. Non è una trascrizione di domande e risposte, ma un articolo costrutio secondo il formato normale. L'intervistato è una "fonte" che il giornalista cita nel costruire il suo discorso, non un co-autore del discorso.
Fatta questa premessa, bisogna notare alcune cose:
1) Anche il giornale più prestigioso e curato della nazione non può esimersi dall'aprire l'intervista con l'ennesimo riferimento alla polemica dei SBVT, benché nel corso della conversazione si sia parlato di temi ben più importanti come la convention Repubblicana, l'Iraq e la minaccia nucleare di Iran e Corea del Nord. Eppure anche il miglior giornale americano pensa che faccia più notizia questa polemica infinita sul Vietnam che non i problemi della nazione.
2) Bush "parla" molto poco durante l'intervista. I suoi commenti sono semplici appendici agli argomenti che il giornalista (o altri esperti e "surrogati" del Presidente) introducono. Basta fare un conteggio delle parole nell'articolo attribuite al Presidente per rendersene conto.
3) A metà dell'intervista, l'autore si prodiga in dettagli sulle modalità in cui è avvenuta la conversazione. A chi interessa sapere che i partecipanti si trovavano in uno stnazino?
4) Gli autori sollevano numerose questioni che dovrebbero mettere in imbarazzo Bush, dall'Iraq all'effetto serra alla minaccia nucleare. Bush fornisce delle risposte che denotano incompetenza o rifiuto di affrontare i problemi. E' vero che il lettore se ne rende perfettamente conto da solo, ma forse non sarebbe male se queste mancanze venissero rilevate nell'articolo. Quando Bush dice che "non si danno scadenze a un tiranno" per giustificare la sua politica attendista verso Iran e Corea del Nord, perché nessuno gli fa notare che questa strategia è l'opposto di quella adottata - e proclamata con orgoglio - rispetto a Saddam?

Di seguito l'articolo-intervista.

FARMINGTON, N.M., Aug. 26 - President Bush said on Thursday that he did not believe Senator John Kerry lied about his war record, but he declined to condemn the television commercial paid for by a veterans group alleging that Mr. Kerry came by his war medals dishonestly.
Mr. Bush's comments, in a half-hour interview with The New York Times, undercut a central accusation leveled by the veterans group, Swift Boat Veterans for Truth, whose unproven attacks on Mr. Kerry have dominated the political debate for more than two weeks.
In the interview, which included topics like preparations for the Republican National Convention, the reconstruction of Iraq and the twin nuclear threats of North Korea and Iran, Mr. Bush portrayed himself as a victim of the same type of political interest groups - called 527 committees for the section of the tax code that created them - that are attacking Mr. Kerry.
"I understand how Senator Kerry feels - I've been attacked by 527's too,'' he said, adding that he had spoken earlier in the day to Senator John McCain and had agreed to join him in a lawsuit against the Federal Election Commission to bar the groups.
Mr. Bush also acknowledged for the first time that he made a "miscalculation of what the conditions would be'' in postwar Iraq. But he insisted that the 17-month-long insurgency that has upended the administration's plans for the country was the unintended by-product of a "swift victory'' against Saddam Hussein's military, which fled and then disappeared into the cities, enabling them to mount a rebellion against the American forces far faster than Mr. Bush and his aides had anticipated.
He insisted that his strategy had been "flexible enough'' to respond, and said that even now "we're adjusting to our conditions'' in places like Najaf, where American forces have been battling one of the most militant of the Shiite groups opposing the American-installed government.
Mr. Bush deflected efforts to inquire further into what went wrong with the occupation, suggesting that such questions should be left to historians, and insisting, as his father used to, that he would resist going "on the couch'' to rethink decisions.
On environmental issues, Mr. Bush appeared unfamiliar with an administration report delivered to Congress on Wednesday that indicated that emissions of carbon dioxide and other heat-trapping gases were the only likely explanation for global warming over the last three decades. Previously, Mr. Bush and other officials had emphasized uncertainties in understanding the causes and consequences of global warming.
The new report was signed by Mr. Bush's secretaries of energy and commerce and his science adviser. Asked why the administration had changed its position on what causes global warming, Mr. Bush replied, "Ah, we did? I don't think so."
Scott McClellan, Mr. Bush's press secretary, said later that the administration was not changing its position on global warming and that Mr. Bush continued to be guided by continuing research at the National Academy of Sciences.
Mr. Bush conducted the interview in an unusual setting: A cinderblock dressing room, outfitted with a conference table and leather reclining chairs, accessible only by walking through a men's room underneath a small stadium here, where he appeared for a campaign rally. The president was joined by one of his closest advisers, Karen P. Hughes, who is now traveling with him; the national security adviser, Condoleezza Rice; former Mayor Rudolph W. Giuliani of New York, who was introducing him at rallies across the state; and his press secretary, Scott McClellan.
In the interview and at three rallies across the state, Mr. Bush appeared relaxed in an open-collared shirt with his shirtsleeves rolled up. Aides said he was in a good mood because of recent polls that showed him gaining ground on Mr. Kerry after months of bad news in Iraq.
A poll conducted by The Los Angeles Times found that Mr. Bush was running ahead of Mr. Kerry for the first time this year and suggested that some of the erosion in Mr. Kerry's support could be linked to the attacks on his military service. But the Times poll and several others released on Thursday showed the race to be deadlocked, with neither candidate holding a lead beyond the margin of sampling error.
One senior political adviser to the president said the shift in Mr. Bush's favor was due to Mr. Kerry's statement two weeks ago that he would have voted to give the president the authority to invade Iraq even if he had known that the country currently possessed no weapons of mass destruction.
"It felt like he had finally made his position clear,'' Mr. Bush said in the interview, referring to Mr. Kerry.
Mr. Bush also took issue with Mr. Kerry's argument, in an interview at the end of May with The New York Times, that the Bush administration's focus on Iraq had given North Korea the opportunity to significantly expand its nuclear capability. Showing none of the alarm about the North's growing arsenal that he once voiced regularly about Iraq, he opened his palms and shrugged when an interviewer noted that new intelligence reports indicate that the North may now have the fuel to produce six or eight nuclear weapons.
He said that in North Korea's case, and in Iran's, he would not be rushed to set deadlines for the countries to disarm, despite his past declaration that he would not "tolerate'' nuclear capability in either nation. He declined to define what he meant by "tolerate.''
"I don't think you give timelines to dictators,'' Mr. Bush said, speaking of North Korea's president, Kim Jong Il, and Iran's mullahs. He said he would continue diplomatic pressure - using China to pressure the North and Europe to pressure Iran - and gave no hint that his patience was limited or that at some point he might consider pre-emptive military action.
"I'm confident that over time this will work - I certainly hope it does,'' he said of the diplomatic approach. Mr. Kerry argued in his interview that North Korea "'was a far more compelling threat in many ways, and it belonged at the top of the agenda,'' but Mr. Bush declined to compare it to Iraq, apart from arguing that Iraq had defied the world community for longer than the other members of what he once called "the axis of evil.'' Nor would he assess the risk that Pyongyang might sell nuclear material to terrorists, though his national security aides believe it may have sold raw uranium to Libya in recent years.
Mr. Bush spoke on the first leg of a multistate tour in advance of the convention: He spends late Friday in Florida, Saturday on another bus trip through Ohio, and Sunday in West Virginia. All are considered crucial swing states.
Mr. Bush did not hesitate when asked about the central charge issued by the Swift Boat Veterans for Truth, the veterans' group that has leveled unsubstantiated attacks against Mr. Kerry's record in Vietnam. "I think Senator Kerry should be proud of his record,'' Mr. Bush said. "No, I don't think he lied.''
But when pressed repeatedly if he would specifically denounce the advertisements, which Mr. Kerry has said were being run with the tacit approval of the Bush campaign, the president refused to condemn then. Instead, he said he would talk only of the "broader issue'' of the political committees that take to the airwaves with attack advertisements.
"Five twenty-sevens - I think these ought to be outlawed,'' he said. "I think they should have been outlawed a year ago. We have billionaires writing checks, large checks, to influence the outcome of the election.''

Monday, August 23, 2004

Tattica, ottimismo e critiche a Bush

Time's Klein writes on Kerry's "small embarrassment" last week where he "attacked" Pres. Bush's troop deployment changes after taken a "different position" just weeks earlier. Klein notes, "the stumble raises two basic questions about Kerry's campaign. First, is he a latter-day Ron Burgundy ... who would read anything that appeared on his TelePrompTer? Did Kerry not remember what he had said? ... No, it was, apparently, yet another Kerry nanonuance: he is in favor of redeployments, just not now. The second question is far more dire: Why is Kerry wasting breath on such periphera? Why isn't he hammering Bush on his conduct of the Iraq war and the larger war against Islamist radicalism, which is the most important issue in this election? The answer is politics. His political consultants don't want him to do it. Their focus groups tell them that the public wants an 'optimistic' candidate who offers a 'positive plan' rather than a 'negative' candidate who criticizes the President." But, as Dem strategist James Carville points out, "every focus group in the history of the world has wanted a candidate with a 'positive plan for the future.'" Focus-group members "are also human beings. In a roomful of strangers, they present their most noble selves. They hate political attacks -- but not really." More Klein, on Iraq: "I suspect the public needs to hear, in plain and forceful language, Kerry's opinion of what Bush has done and whether it has been good for America. Instead, Kerry has offered only vague criticisms and an increasingly implausible promise to lure our allies into the chaos. In a year of real crises -- the 'most important election of our lifetime,' he says -- Kerry's nostrums sound distressingly like market-tested pap" (8/30 issue).

Kerry colto di sorpresa

Washington Post's Allen: "At the moment, Republicans are thrilled because they have Senator Kerry being forced to put on his own ad, responding. They feel like he elevated the issue, threw gas on the fire talking by about it. A third of all of the money that the Swift Boat people raised was Friday, the day after ... Senator Kerry spoke."
More Allen: "By having all of the attention in this ad -- you know, on Friday, there were state jobs figures that were terrible. ... John Kerry did a health care event on Friday. Nobody's talking about health care and, you know, Senator Kerry's A, angry about this ad, and B, it clearly is hurting him, as you saw in this poll" ("IP," CNN, 8/22)
(da The Hotline)

Il timing dell'operazione SBVT è stato precisissimo: Kerry aveva dichirato pubblicamente (a che scopo, poi?) che non avrebbe messo in onda spot in agosto per risparmiare in vista dei due mesi conclusivi, e il gruppo di veterani che lo accusa ha deciso di colpire proprio quando il candidato democratico aveva dichiarato che avrebbe abbassato la guardia. Non solo Kerry è stato costretto a cambiare i suoi piani e a consumare risorse che avrebbe preferito conservare, ma si è trovato impreparato a reagire e restio a farlo per non modificare la sua decisione di non mettere in onda spot in agosto.

Friday, August 20, 2004

Vietnam, disarmo unilaterale

Sembra proprio che io debba scrivere di questa benedetta controversia sul Vietnam.
Qualcuno in questi giorni ha fatto notare che in un momento in cui gli USA sono in guerra in Iraq, la campagna elettorale è incentrata su una guerra di più di trent’anni fa. Ironico, ma un po’ inquietante.
Insomma, Bush e i Repubblicani lo hanno fatto ancora. Così come con McCain nel 2000, hanno trovato qualcuno che era stato in Vietnam e che era disposto a rendersi protagonista di una campagna negativa contro Kerry. Ne è nato un libro, Unfit for Command, che si annuncia come un bestseller, più uno spot televisivo (http://swift1.he.net/~swiftvet/script.html) – secondo me non efficacissimo – che si dice deve andare in onda in soli tre battleground states. Il sito del gruppo (http://www.swiftvets.com/), che opera grazie al cavillo (loophole) denominato 527 e può ricevere finanziamenti illimitati da donatori singoli, contrariamente ai candidati e ai partiti, è al momento intasatissimo, segno che molti stanno andando a vedere lo spot. Nel filmato, diversi ex combattenti in Vietnam accusano Kerry di avere mentito sulle medaglie guadagnate in guerra e di non essere stato onesto sulla sua condotta.
Tale spot è stato messo in onda circa una settimana fa. Kerry ha reagito in modo abbastanza cauto, negando tutte le accuse come semplici calunnie a suo danno, ma senza attaccare direttamente Bush e i Repubblicani come responsabili dello spot. Tecnicamente, le organizzazioni “527” non sono autorizzare a “coordinare” le loro operazioni con le campagne elettorali dei partiti e dei candidati. Di fatto, questa regola è difficile da applicare perché non è stata data una definizione precisa di che cosa significa “coordinazione” e non esistono metodi rapidi e sicuri che assicurino il rispetto della regola. Kerry ha chiesto a Bush di condannare lo spot, al che Bush ha risposto chiedendo a Kerry di condannare tutte le organizzazioni 527, molte delle quali hanno scatenato una serie di attacchi violenti contro il Presidente nei mesi scorsi. La maggior parte delle organizzazioni 527 sono infatti schierate con il Partito Democratico e soprattutto contro Bush. In questo modo il Presidente è riuscito di nuovo in una delle sue tattiche più efficaci: deviare il colpo quando viene attaccato, portare la discussione su un tema diverso da quello su cui è chiamato a rispondere, un tema a lui favorevole.
Due giorni or sono MoveOn.org, forse il più forte e conosciuto “527”, attraverso il suo PAC (Political Action Committee, altra organizzazione politica che può raccogliere denaro seguendo regole meno restrittive dei partiti) ha messo in onda uno spot che chiede, con un altro spot ovviamente (https://www.moveonpac.org/donate/swiftresponse.html) a Gorge Bush di “take that add of the air”. L’accusa più dura rivolta al Presidente è quella che Kerry finora (così come McCain nel 2000) ha evitato di pronunciare: che Bush ha evitato di andare in guerra grazie ai buoni uffici di suo padre.
Sdegnato, lo staff di Bush chiede a Kerry di prendere le distanze dallo spot. Kerry lo fa e invita Bush a prendere le distanze dai Swift Boat Veterans for Truth, cosa che ovviamente Bush si guarda bene dal fare.

Questo si chiama “disarmo unilaterale”.
Molti hanno giustificato la diatriba sul Vietnam sulla base di questa argomentazione: “Se Kerry ha fatto del suo eroismo in Vietnam il caposaldo della sua campagna, allora qualsiasi testimonianza che possa portare alla luce elementi su questo tema è ammissibile”. Dunque, purché non dicano menzogne, i veterani che accusano Kerry personalmente hanno il diritto di farlo.
Se questo è il metro di giudizio, non si vede perché un Presidente che si autodefinisce “war President”, chiedendo ai cittadini di giudicarlo per come ha condotto le guerre in Afghanistan e in Iraq, non possa essere esposto al giudizio e alla discussione dei media e degli elettori rispetto alla sua condotta sul Vietnam. Bush reclama, e sta in larga misura ottenendo, due pesi e due misure.

Ma ci sono implicazioni più profonde.
Nelle elezioni di medio termine del 2002 il Senatore della Georgia Max Cleland è stato sconfitto dal Repubblicano Saxby Chambliss dopo una campagna elettorale che per molti ha toccato il fondo in termini di scorrettezze. Cleland è un eroe della guerra del Vietnam, dove ha perso due gambe e un braccio. Chambliss lo ha raffigurato in uno spot a fianco di Osama Bin Laden e Saddam Hussein. Ecco una descrizione dello spot (dal National Journal)

The spot opens with shots of Osama bin Laden and Saddam Hussein, who are described as some of the "terrorists and extremist dictators" faced by the United States today. As footage from several of incumbent Max Cleland's (D) TV ads rolls, an announcer says that Cleland is "claiming he has the courage to lead" but has voted "against the president's vital homeland security 11 times" since July.

In realtà Cleland era stato uno dei proponenti del Department of Homeland Secutiry, ma aveva votato contro la legge perché non concordava su alcuni aspetti specifici, sui quali Cleland avrebbe voluto che il Dipartimento avesse maggiori poteri e tutele di quanto voluto da Bush. Ma al di là della scorrettezza delle accuse, paragonare – anche solo visivamente – un eroe di guerra che ha perso tre arti in Vietnam con i due principali nemici di una nazione in guerra è sicuramente una scelta discutibile.
Non è andata diversamente in altre competizioni nel 2002, tanto che i Repubblicani hanno vinto nettamente le elezioni di medio termine (grazie anche all’impegno in prima persona del Presidente e a una gestione efficace delle field operations).

Ne ho parlato con Sam, con cui condivido l’ufficio qui all’American University. Secondo lui questo della guerra è un problema strategico di lungo periodo per i Democratici. I Repubblicani sentono di “giocare in casa” quando si parla di difesa nazionale, di durezza nella lotta, di inflessibilità verso i nemici, e si sentono quindi legittimati ad attaccare i Democratici, che tradizionalmente sono ritenuti “deboli” sui temi della difesa e della politica estera. Di fronte a questi attacchi, i Democratici non sanno rispondere altro che “take the high road”, chiedendo agli avversari di cessare gli attacchi, di “fare una campagna elettorale positiva”, di “discutere delle soluzioni ai problemi dei cittadini”. Argomenti nobili, ma che violano una regola d’oro della comunicazione elettorale: mai lasciare le accuse senza risposta, come sa bene Michael Dukakis, il candidato Democratico ignominiosamente sconfitto da Bush senior dopo una campagna che è rimasta negli annali come una delle più scorrette della storia.

Ora, i Democratici non hanno un strategia per contrattaccare. Lo ha dimostrato anche Kerry. Invece di attaccare Bush, ha attaccato un’organizzazione riconducibile alla sua parte politica. Questo ha dato l’impressione – a me, ma potrei sbagliare – che il suo vero scopo sia di ottenere la stessa mossa da parte di Bush: se Bush denunciasse lo spot dei Swift Boat Veterans for Truth, e se questi cessassero di trasmettere lo spot (cosa che comunque non succederà mai, così come MoveOn.org non ritirerà lo spot perché Kerry lo ha chiesto) il tema della credibilità dell’eroismo di Kerry in Vietnam verrebbe meno. Il che mi fa pensare – ma ripeto, potrei sbagliare – che Kerry abbia paura di quello spot e di quella polemica.

Comunque sia, uno degli effetti positivi – per Kerry – di questa scelta da “goody goody” è che la stampa si è messa a fare il suo mestiere di watchdog e ha scavato a fondo nelle rivelazioni e nelle vite personali del gruppo di veterani che si è scagliato contro Kerry. Ieri il Washington Post e oggi il New York Times pubblicano lunghi e documentati articoli in cui la maggior parte delle accuse a Kerry sono smontate e dimostrate prive di fondamento. Leggendo tra le righe, si capisce che in realtà quello che i veterani disprezzano, e contro cui lottano, non sono tanto le informazioni fattuali sulle decorazioni al valore ottenute da Kerry, ma il ruolo che Kerry ha avuto dopo la guerra in Vietnam, quando si è fatto leader dei veterani contro la guerra e ha denunciato le atrocità commesse dall’esercito americano nel Sud-Est asiatico. Molti che avevano servito in quella guerra si sono sentiti offesi e discreditati da Kerry e dal movimento di cui era leader, e si sentono offesi oggi che Kerry fa leva sulla sua condotta in Vietnam come una credenziale per diventare presidente. Le inchieste della stampa dimostrano che il gruppo è finanziato, coordinato e tenuto insieme da personalità legate ai Repubblicani in Texas e al grande consigliere di Bush, Karl Rove, che del resto non è nuovo all’uso di tecniche subdole per demonizzare l’avversario.

Dunque, la stampa ha preso in mano il fischietto, dando in sostanza ragione a Kerry. Che in un comunicato ieri ha dichiarato “Today marks the end of the dishonest and disgusting smear campaign against John Kerry and his crewmates from Vietnam”. È poi partita anche una risposta sotto forma di spot, che riporta la testimonianza del soldato che Kerry ha salvato dal fuoco nemico in Vietnam, occasione per la quale il candidato Democratico ricevette la più alta onorificenza: “John Kerry porta ancora i segni delle ferite ricevute in guerra”, si conclude lo spot.

Ma il fatto più interessante non sta negli spot in sé, quanto negli effetti indiretti che questi spot hanno avuto. Per una settimana non si è parlato d’altro, tanto che una ricerca dell’Annenberg National Election Studies (http://www.annenbergpublicpolicycenter.org/naes/2004_03_swiftboat-ad_08-20_pr.pdf) riporta:

Backed by a small time buy in a few states, a TV advertisement sponsored by a 527 called Swift Boat Veterans for Truth began airing on August 5, 2004. The ad claimed that John Kerry lied to obtain his Viet Nam War medals. A news account in the New York Times indicated that the group intended to spend $500,000 to put the ad on stations in Wisconsin, Ohio, and West Virginia. Though according the article, an aide for the Kerry campaign disputed these figures arguing that the buy "was far smaller, for only $156,000 in seven smallish markets."
In a dramatic illustration of the power of free media such as talk radio and cable talk shows to assist an independent group in getting its message out, recent polling by the University of Pennsylvania's National Annenberg Election Survey finds that more than half of the country has heard about or seen the ad. Thirty-three percent of a national sample of respondents report having seen it and an additional 24 percent report having heard about it. These findings are based on polling of 2,209 respondents between August 9 and August 16, 2004. The margin of error for this sample is plus or minus 2 percent.
"The influence of this ad is a function not of paid exposure but of the ad's treatment in free media," Dr. Kathleen Hall Jamieson, director of the survey and of The University of Pennsylvania's Annenberg Public Policy Center explained. "The advertisement has received extensive coverage, particularly on conservative talk radio and cable news channels and has been the subject of some attention in broadcast news as well."

Ecco altri dati da uno studio del Center for Media and Public Affairs:
"The Center for Media and Public Affairs said that from Aug. 9 to 15, the first week after the group's ads were released, there were 92 mentions in major papers and 221 mentions in all news reports. By last week, Aug. 16 to 22, there were 221 mentions in major papers and 696 mentions in all news reports the center tracks.
"The Swift Boat veterans commercial is the 'Blair Witch Project' of campaign ads — an enormous return on a small investment," said Matthew T. Felling, media director for the center. "Everyone is talking about it, and no one can agree on where the line between fact and fiction exists."

Il problema per Kerry è che è difficile giudicare la vicenda se tutto ciò che si è visto sono un paio di spot. Infatti, circa la metà degli intervistati ritiene lo spot dei veterani contro Kerry “credibile”. Come sempre, tra i Repubblicani la pensa così tre quarti del campione, solo un quarto tra i Democratici, dato che l’appartenenza politica funge da “filtro” delle informazioni ricevute. Tuttavia tra gli indipendenti ben il 44 percento attribuisce allo spot una qualche credibilità.

Questo significa che lo spot ha in buona parte servito allo scopo, e soprattutto grazie alla controversia scatenata intorno ad esso dai media, da MoveOn.org e dalla stessa campagna di Kerry. La comunicazione politica funziona come un sistema, in cui “non si può mai fare una cosa sola”: ogni azione produce reazioni da parte del sistema, reazioni difficilmente controllabili, ma prevedibili, come dimostra l’efficacia della tattica degli strateghi Repubblicani dell’operazione.

Tuesday, August 17, 2004

Income Gap Widens

According to the Census Bureau, the "income gap" between rich and poor has "increased" over the past decades. The "wealthiest 20 percent of households in 1973 accounted for 44 percent of total U.S. income. ... Their share jumped to 50 percent in 2002, while everyone else's fell. For the bottom fifth, the share dropped from 4.2 percent to 3.5 percent" (Seattle Post-Intelligencer, 8/17).

The Power Of Film Editing

Last night, MSNBC's Matthews discussed Bush's referring to Kerry as the "anti-war" candidate based on a previous "Hardball" interview. The Bush-Cheney ad, produced by the RNC and running on kerryoniraq.com plays as follows:
Matthews: "Are you one of the anti-war candidates?" Kerry: "I am. Yes."
Matthews: "About 220 days ago, John Kerry was on 'Hardball' and I asked him about his views on Iraq. Let's watch that exchange as it actually happened."
(Video of Kerry/Matthews) Matthews: "Are you one of the anti-war candidates?"
Kerry: "I am. Yes. In the sense that I don't believe the president took to us war as he should have, yes. Absolutely. Do I think this president violated his promises to America? Yes, I do. Was there a way to hold Saddam Hussein accountable? You bet there was and we should have done it right."
Kerry adviser Tad Devine, on if it's appropriate for Bush/Cheney to use that footage in calling Kerry an "anti-war" candidate: "No. It was completely inaccurate, totally misleading and part of a conscious campaign on the part of the president and the vice president to distort the truth and mislead the American people."
Bush-Cheney strategist Matthew Dowd, on if Bush reflected the Kerry footage accurately: "Yes. Obviously. The impression John Kerry was trying to leave when he was up against Howard Dean in the primary was he was the anti-war candidate after he voted for the resolution. That's obviously what he was trying to do. He was trying to leave the impression that he either was the anti-war candidate or was becoming the anti-war candidate."
Matthews, to Dowd: "Would you like to have your sentences cut down like to a third of their length and let people decide on the first three or four words what you meant by the 20 words? ... I think you guys should consider taking this off your loop. I think the president ought to be shown this tape so he knows what he's talking about, instead of having it fed to him by somebody who doesn't show them full sentence" (8/16).

(da The Hotline)

Monday, August 16, 2004

Interesse nella convention

Two weeks prior to the start of the Republican National Convention, a Pew Research Center poll finds that 53 percent of Americans aren't interested in following the GOP's New York extravaganza. Republicans can take some solace, however: Prior to Democrats' July convention in Boston, 63 percent of respondents said that event did not interest them.
Likewise, few Americans are fixating on the presidential race, the poll suggests. Thirty-two percent said they were following news about the candidates very closely, while 38 percent were following it "fairly closely," and 30 percent were following it "not too closely" or "not at all closely." In comparison, 52 percent said they were following news about high gasoline prices very closely, and 39 percent were following reports on Iraq with similar care.
That lack of interest in political news does not translate into apathy for the race itself, however. Sixty-nine percent said they had given "quite a lot" of thought to the upcoming election, and most voters have made up their minds: Just 21 percent said there was a chance they might shift their support by election day.

Se ce ne fosse bisogno, questi dati danno un'ulteriore conferma del fatto che la politica contemporanea ha bisogno di rinnovarsi. Le grandi cerimonie mediatiche non appassionano più (né i network, che riducono la copertura, né gli elettori), così come l'informazione sulla campagna elettorale è guardata con disinteresse (forse perché parla solo di performance e sondaggi, invece di affrontare i temi? Forse perché i politici non dicono quasi mai niente di significativo, e quando lo fanno cadono spesso in errori o promettono troppo?).
Eppure gli americani sono interessati, hanno pensato molto a questa campagna elettorale, in molti hanno già deciso. Sarebbero disponibili a ri-mobilitarsi, sarebbero pronti per un piccolo o grande evento che segni la campagna. Di certo le convention non lo sono e non lo saranno. Non resta che sperare nei dibattiti presidenziali, a meno che qualcuno non si inventi qualcosa all'ultimo minuto, ma mi pare improbabile.

Bush e i media

C'è aria di rimorso nella stampa americana, almeno nei giornali più autorevoli. Rimorso per aver "creduto" a Bush, per non averne messo in dubbio la leadership, e per non aver messo in discussione le motivazioni per la guera in Iraq.
Da quando è stato eletto, secondo molti Bush ha ricevuto un trattamento molto favorevole dai media. (Secondo molti altri, anche durante la campagna del 2000 Bush ha goduto di una stampa migliore di quanto non meritasse. Alcune ricerche dimostrano che ha comunque avuto un trattamento migliore di Gore.) Probabilmente, dopo la crisi dovuta alla conta dei voti in Florida, la stampa ha sentito la responsabilità di aiutare la nazione a ricomporre una frattura storica potenzialmente dannosissima, e ha limitato le critiche per non indebolire la legittimità di un Presidente divuenuto tale in modo roccambolesco e discutibile.
Poi è venuto l'11 settembre e ha fatto il resto, trasformando Bush nel leader di una nazione ferita e in guerra permanente con un nemico quasi invisibile e difficile da comprendere. La stampa ha seguito l'opinione pubblica e si è stretta intorno al Presidente.
The Bush Dyslexicon documenta questo atteggiamento benevolo dei media tradizionali verso Bush. Si aggiunga poi che oggi il partito Repubblicano può contare su un apparato mediatico di tutto rispetto, che comprende i seguitissimi talk show radiofonici, alcuni giornali (il New York Post, il Washington Times, le pagine editoriali del Wall Street Journal) e soprattutto la Fox News Channel, il canale all-news di Ruper Murdoch che ha nettamente scalzato la CNN nella sua categoria.
Poi è venuta la guerra in Iraq, e anche qui la stampa ha probabilmente rinunciato, almeno in parte, a fare il suo dovere. Qualche giorno fa il Washington Post, il giornale reso famoso dalla scoperta dello scandalo del Watergate, ha fatto ammenda, con un lungo articolo in cui ha raccontato le difficoltà di un reporter che aveva informazioni che mettevano in discussione l'esistenza di armi di distruzione di massa (WMD, le chiamano qui con un'abbreviazione che dà l'idea di quanto siano abituati a discutere di questo tema). I suoi articoli non venivano mai pubblicati, o uscivano in 14° pagina, mai in prima.
Alcuni hanno definito questa linea giornalistica "Don't ask, don't ask". Non chiedere e basta. Non mettere in discussione un Presidente che va in guerra sulla base di informazioni dei servizi segreti che non possono essere divulgate. Avrà i suoi buoni motivi, ma non può spiegarli. Bush ha avuto per lungo tempo il beneficio del dubbio dai giornali e anche dall'opinione pubblica, finché non è emerso che l'uranio impoverito del Sudan non esisteva e che non c'era nessuna prova che Saddam avesse o potesse fabbricare WMDs.
A questo punto è partita l'infornata di libri di denuncia e di attacco al Presidente, alcuni dei quali da giornalisti della stampa di qualità.
Ora che ci avvicinaimo alla fase conclusiva della campagna elettorale, sembra che i giornali stiano cercando di impostare un nuovo corso, analizzando e mettendo in discussione le proposte politiche dei candidati, anziché parlare solo di come va la canpagna elettorale.
Se per Kerry si tratta solo di promesse elettorali - e, va detto, sta emergendo una tendenza molto pericolosa del candidato Democratico a promettere troppo e con troppa facilità, dai tagli alle tasse ai nuovi servizi sociali, dal ritiro di parte delle truppe americane dall'Iraq alle proposte sui temi locali - per Bush si tratta in gran parte del suo record, di quello che ha fatto in questi anni alla Casa Bianca, anche perché il Presidente non ha ancora annunciato il suo programma per la rielezione, e forse non realizzerà comunque un programma troppo articolato. (Sembra infatti che un Presidente che parla troppo dei prossimi quattro anni dia l'idea di non avere risultati positivi per i quattro anni del suo primo mandato: Bush senior e Carter, che persero la rielezione, ebbero in effetti questo problema.)
Così nei giorni scorsi abbiamo letto editoriali di Paul Krugman sul New York Times, di David Broder sul Washington Post e questo stesso giornale sta dedicando un'analisi dettagliata alla situazione economica del Paese in rapporto alle politiche dell'amministrazione Bush. Da tutti gli editoriali emerge un giudizio impietoso: Krugman - autore anche di un libro di denuncia sull'amministrazione - mette in ridicolo lo slogan "ownership society" con cui Bush sta caratterizzando le sue proposte di politica economica e sociale. Broder accusa Bush di due colpe: aver portato la nazione in guerra con un Paese che non l'ha aggredita, senza poi trovare le WMD, e avere abbassato le tasse anziché alzarle per pagare le spese militari. Le analisi del Post, molto curate e approfondite, esprimono sostanziale scetticismo sulla riuscita dei piani del Presidente.

Poi oggi capita di leggere, sullo stesso giornale, un bell'articolo sulla campagna di Bush:

Anyone who doubts it should spend some time watching the shirtsleeves campaign. In five days of energetic campaigning through five swing states, Bush looked and sounded like someone dropping by a neighbor's lawn party -- no coat, no tie, rolled-up sleeves, and conversational speeches in which he implored voters to "put a man in there who can get the job done."
In loosening his style, Bush tightened his message. Fielding friendly questions at "Ask President Bush" forums, or lathering up the crowds at pep rallies like the one here on Saturday afternoon, he presented his case for reelection with a force and fluency that sometimes eluded him at important moments over the past year.
The message Bush offered at these events has been familiar for months: that he is a plain-spoken conservative who knows his mind and is resolute in crisis, and that his Democratic opponent, Sen. John F. Kerry, is the opposite on each count. But crafting an argument and finding the words and cadences to deliver it effectively can be different things.
Two weeks before the Republican National Convention, Bush's performances in recent days suggested someone who has settled on a comfortable marriage of message and style. Applause lines, anecdotes, and wisecracks at Kerry's expense rolled off at a steady clip. There was a buoyant, jaunty manner that announced a politician who is relishing his fight.

Siamo, sembra, alle solite. La stampa parla di policy issues nelle pagine editoriali (in fondo al giornale, sicuramente meno lette degli altri articoli) e parla di performance e image negli articoli di cronaca della campagna. Con il risultato che Bush, criticatissimo dai commentatori per le sue politiche, appare invece in forma smagliante per la sua verve dialettica in campagna elettorale.
Tutto nello stesso giornale, tutto a pochi giorni di distanza, se non lo stesso giorno.
Se non riuscirà a convincere la nazione che ha fatto la scelta giusta in Iraq e che ha un piano per l'economia, forse Bush può provare di nuovo a sedurla e a farle dimenticare le sue pecche personali.
Non si aiuta certo Kerry, che continua ad ammassare promesse senza che, almeno in apparenza, abbia un piano per pagarle con il denaro pubblico, tanto che il New York Times parla di "somiglianza di stili" tra Bush e Kerry nella politica fiscale: entrambi sono dei "fiscal irresponsibles".
Insomma, se non c'è davvero differenza (percepita) nella competenza, perché non giudicare in base all'affidabilità? Nel qual caso, almeno per quanto riguarda l'empatia e la sim-patia, Bush non ha rivali. Kerry farebbe meglio a capirlo e cominciare a farsi prendere un po' più sul serio.

Scrive qualcosa di analago il Boston Globe del 17 agosto:
If Bush and Kerry are both liars, it gives voters a reason to rationalize sticking with Bush." Kerry offers the "promise of a credible voice," and "therefore, Bush's one hope" for winning "rests in changing that perception about Kerry." Bush "must somehow turn this election into a choice between liars."

Saturday, August 14, 2004

Target

Scrive oggi il Washington Post:
In a novel attempt to reach sports buffs, the ad will be shown not only on cable but also in 250 fitness centers through a company called ClubCom.
Using a stirring "Morning in America" style, the ad uses swelling orchestral music and colorful footage of a female swimmer winning a race. A female narrator notes that the number of democracies in the world has increased from 40 during the 1972 Olympics to 120 now.
"Freedom is spreading throughout the world like a sunrise," the narrator says. The flags of Afghanistan and Iraq are shown as she says that at "this Olympics, there will be two more free nations, and two fewer terrorist regimes. With strength, resolve and courage, democracy will triumph over terror. And hope will defeat hatred."
The use of the Summer Games is an unusual way of claiming credit for toppling the Taliban and Saddam Hussein -- by focusing on Afghan and Iraqi athletes -- without addressing the continuing violence in Iraq.
Matthew Dowd, Bush's chief campaign strategist, said the use of the health club network is an experiment aimed at "busy" voters who, he noted, tend to be undecided. "You can deliver information to them that they may not see during the day," he said. "They may catch an article here or a news broadcast there."

Potete vedere lo spot seguendo questo link. Personalmente lo trovo bizzarro e poco sensato. Tanto per dire, alle Olimpiadi partecipano ancora moltissime nazioni che non sono democratiche, e non per questo non sono Olimpiadi. Mi sembra che si stiano mischiando cose che non c'entrano tra loro con la scusa di raggiungere elettori interessati allo sport. Ma proprio questo è il punto, la targetizzazione estrema dell'elettorato: in pratica questo spot lo vedranno solo gli spettatori di programmi sportivi in TV e i frequentatori delle palestre del consorzio che gestisce le inserzioni.