Esperimento fallito
Non tutte le ciambelle riescono col buco. Chiedo scusa alle persone che avevano iniziato a leggere questo blog e che da un certo punto in poi non hanno più trovato aggiornamenti, proprio quando la campagna stava entrando nel vivo.
Ho provato di persona quanto sia difficile dare aggiornamenti continui e scrivere qualcosa di sensato tutti i giorni. Trovare il tempo per farlo, più che altro. Imparare a dedicare almeno un'ora alla giornata al proprio blog non è semplice, specie quando molte altre cose accadono contemporaneamente nella propria vita.
Mentre gli elettori si affollano nei seggi per decidere chi sarà il prossimo presidente degli Stati Uniti, mi sento in dovere di scusarmi con quanti di voi avevano iniziato a leggermi. Mi riprometto di imparare da questa esperienza e di impostare meglio le prossime. State sicuri che ce ne saranno.
Intanto, se volete leggere qualcosa, qui potete vedere un mio commento sulle strategie dei candidati (pubblicato sul sito dell'Associazione Italiana Consulenti Politici).
Di seguito potete leggere il testo completo di un articolo pubblicato su New Politics, supplemento de Il Riformista del 1 Novembre, in cui si parla di blog e nuovi scenari mediatici.
“And that’s the way it is”. Così Walter Cronkite concludeva le sue trasmissioni negli anni Sessanta. Era un’affermazione tutto sommato veritiera: l’80% degli elettori si sintonizzava alle 18.30 sui tre grandi network nazionali per conoscere i fatti più importanti avvenuti nella giornata e l’immagine dei politici derivava quasi interamente dai telegiornali della sera. Oggi la realtà è molto più complessa: televisione via cavo, canali all-news, radio parlata, telefoni cellulari e le mille forme della comunicazione on line competono con i mezzi tradizionali. Wired, la rivista di culto per gli appassionati di tecnologie, ha deciso in agosto che è tempo di scrivere “internet”, non “Internet”, così come nessuno usa la maiuscola per parole come “stampa”, “radio” e “televisione”. Come ha scritto Michael Cornfield, esperto di nuove tecnologie e politica: “Questo atteggiamento ci avvicinerà al giorno in cui tutti i politici si comportano come politici on line, facendo un uso pieno e consapevole di internet nella comunicazione strategica, e al giorno ancora più importante in cui tutti i cittadini potranno essere raggiunti tramite la rete”.
I nuovi media e l’espansione di quelli tradizionali hanno prodotto una vera e propria esplosione informativa, con due conseguenze fondamentali. Da un lato la comunicazione è sempre più personalizzata, rivolta agli interessi specifici di pubblici segmentati attraverso ricerche di mercato. Dall’altro l’informazione politica è così abbondante che rischia di trasformarsi in un “brusio” costante, in cui le categorie tradizionali di informazione, intrattenimento e commento si mischiano in un flusso spesso indifferenziato.
La campagna presidenziale che sta per concludersi ha assestato un colpo al cuore dei media tradizionali quando Dan Rather, decano del giornalismo a stelle e strisce e “volto” del telegiornale della CBS, ha dovuto pubblicamente scusarsi per avere diffuso documenti, rivelatisi poi inattendibili, sul servizio militare di George W. Bush presso la Guardia Nazionale in Texas. A mettere pressione su Rather, oltre alla controffensiva mediatica della campagna elettorale Repubblicana, sono stati numerosi blog (tra cui rathergate.com, coniato per l’occasione), che hanno smascherato il falso nel giro di poche ore dalla sua messa in onda. Anche se non sono paragonabili al giornalismo tradizionale quanto a risorse e standard professionali, i blog stanno trasformando l’informazione in una conversazione tra i media e una nuova generazione di élite che utilizzano internet per influenzare l’opinione pubblica e i media. Tra i blogger è diffusa la pratica di “adottare un giornalista” per tenerlo sotto controllo e denunciarne la presunta faziosità.
Del fatto che i giornalisti statunitensi siano culturalmente e politicamente progressisti, e quindi faziosi, i conservatori si lamentano fin dai tempi del presidente Richard Nixon, che incaricò il vicepresidente Spiro Agnew di criticare costantemente i media per la loro ostilità verso i Repubblicani. Oggi l’apertura di nuovi canali offre alla destra la possibilità di bilanciare quello che storicamente hanno sempre considerato come uno squilibrio. Le frequenze della radio parlata sono ormai da un decennio territorio dei conservatori, da Rush Limbaugh a Sean Hannity a Bill O’Reilly: circa 30 milioni di ascoltatori si sintonizzano ogni settimana sulle loro frequenze. (Per la sinistra, il gap della radio parlata è parzialmente colmato dal comico Al Franken, una sorta di Beppe Grillo a stelle e strisce). Hannity e O’Reilly sono anche le star di Fox News Channel, la rete all-news di Rupert Murdoch il cui successo di pubblico è forse la più grande novità mediatica della stagione politica. Questi nuovi canali consentono agli elettori di ricevere informazioni e commenti da fonti non più neutrali, come vorrebbe la pratica professionale del giornalismo, ma più o meno dichiaratamente di parte. La segmentazione e personalizzazione della comunicazione politica sono probabilmente tra i principali responsabili della polarizzazione dell’elettorato statunitense a cui assistiamo oggi: ciascuno può infatti rivolgersi solo alle forti con cui è d’accordo, mentre i punti di vista contrari si possono filtrare sempre più facilmente. È difficile essere moderati e concilianti quando non si ascolta mai l’altra campana.
Tornando a internet (sempre con la minuscola), la sfortunata ma significativa avventura di Howard Dean nelle primarie Democratiche ha lasciato tracce nelle scelte strategiche dei candidati. Un primo utilizzo della rete è quello di “diffondere il messaggio”. I siti di Bush e Kerry sono molto curati e offrono una mole vastissima di documenti, video e strumenti interattivi. Un video realizzato dai Repubblicani su “Kerry e l’Iraq” è stato visto da più di 9 milioni di utenti, secondo i gestori del sito (www.kerryoniraq.com).
Più significativi sono però gli utilizzi della rete in funzione organizzativa, per raccogliere fondi e per incentivare i simpatizzanti dei candidati a lavorare come volontari per la campagna elettorale. Secondo un articolo apparso di recente sul Washington Post, Bush può contare su una mailing list di 6 milioni di utenti, Kerry su 2,5 milioni di iscritti. A colmare il divario per i Democratici ci sono altre organizzazioni formalmente indipendenti, come MoveOn.org e America Coming Together, che hanno raccolto centinaia di milioni di dollari e organizzato campagne on line e off line a sostegno di Kerry.
L’email è lo strumento più utilizzato per mobilitare volontari e simpatizzanti. In questi giorni gli iscritti alle mailing list di Bush e Kerry ricevono una media di tre messaggi al giorno. Grazie all’email e agli strumenti presenti sui siti dei candidati, i sostenitori possono incontrarsi negli “house party” per programmare iniziative sul territorio, partecipare a viaggi organizzati per fare campagna elettorale porta a porta negli Stati in cui la competizione è più incerta, ricevere istruzioni per contattare altri elettori da casa, utilizzando il telefono o l’email, e far sentire la propria voce sui media.
Se i Repubblicani hanno escogitato il sistema più efficiente per mobilitare i volontari e monitorare il loro contributo, grazie a un sofisticato e segretissimo database, i Democratici hanno avuto successo nell’utilizzare il lavoro dei volontari on line per influenzare i mass media. Immediatamente dopo il primo dibattito presidenziale, tutti gli iscritti alla mailing list di Kerry hanno ricevuto istruzioni di votare nei sondaggi on line dei network, di mandare lettere ai quotidiani locali, di chiamare le radio parlate e di diffondere in qualsiasi altro modo il messaggio che Kerry era stato il vincitore. Nella frenesia che segue i dibattiti, in cui giornalisti e commentatori sono alla disperata ricerca di fonti per misurare il “polso” dell’opinione pubblica, questa risposta così massiccia ha sicuramente contribuito a convincere i media che Kerry aveva vinto il dibattito. La CBS ha definito l’operazione di Kerry “un colpo di stato on line”.
In una campagna elettorale in cui la mobilitazione dei sostenitori e le operazioni di “get out the vote” saranno decisive per determinare il vincitore, il ruolo di internet e delle tecnologie informatiche può rivelarsi decisivo se ben coordinato con le operazioni sul campo. Nelle 72 ore che precedono il voto centinaia di migliaia di volontari busseranno alle porte degli elettori, armati di dati sui loro comportamenti elettorali e sulle loro preferenze. Un tempo i grandi partiti di massa, con i loro apparati e clientele, venivano definiti “macchine politiche”. Dopo aver lasciato il posto alla televisione e agli altri media, oggi queste macchine si ricostituiscono in una forma nuova, basata di nuovo sul contatto diretto con gli elettori ma supportata da una mole impressionante di informazione che viaggia in tempo reale. È questa la “macchina politica leggera” del XXI secolo?